Dossi killer, condannati tre dirigenti comunali

«Se solo fossero intervenuti dopo il primo incidente mortale causato da quel dosso, si sarebbe evitata una seconda tragedia».


È il commento dei parenti delle vittime dopo la lettura della sentenza di condanna dei tre funzionari del Comune. La dichiarazione è arrivata in un clima di tensione, creatosi in aula dopo la lettura del dispositivo. Prima alcuni parenti hanno applaudito la sentenza di condanna e poi sono volate parole grosse tra la madre di uno delle vittime e un'altra persona presente in aula. Tutto, però, si è spento nel giro di qualche attimo e imputati, avvocati e parti civili hanno lasciato il tribunale senza altre liti. Poco prima, il giudice Raffaele Ferraro aveva letto la sentenza con la quale aveva condannato i dirigenti comunali Alessandro Bortolan, 55 anni e Renato Zanuso, 62 ad un anno e due mesi e Michele Fasoli a 8 mesi. La disparità di pena è da ricondurre al fatto che il responsabile della segnaletica del Comune era finito sotto processo solo per la morte di Perlato mentre il direttore dei lavori (Zanuso) e il responsabile del progetto (Bortolan) dovevano rispondere dei due decessi. I tre imputati dovranno poi pagare una provvisionale di 35mila euro ciascuno ai genitori di Graziani e alla sorella di Perlato, assistiti dagli avvocati Francesco Delaini, Pietro Someda, Massimiliano Ferri e Vincenzo La Brocca. È stato assolto perchè il fatto non costituisce il reato, Elia Lavarini, 77 anni, difeso da Cristian Serpelloni, il titolare della coop «La Regione» che aveva realizzato l'opera. Per tutti l'accusa parlava di omicidio colposo per le morti di Franco Perlato, 36 anni e di Giovanni Battista Graziani, 25, avvenute la sera del 24 settembre 2005 e la notte del 2 luglio 2007.


I due giovani sono morti nello stesso punto in via Lazzaretto dove il Comune aveva sistemato il dosso, rimosso a pochi giorni dal secondo mortale. Il Perlato, a bordo della sua moto la Yamaha R1, si schiantò e morì contro una recinzione a qualche decina di metri di distanza dal dissuasore. Graziani, a bordo di una Triumph 955, invece, concluse la sua giovane vita contro un palo della luce, sistemato su quella strada che porta sul ponte di San Pancrazio. I tre dirigenti del Comune sono finiti sotto processo al termine dell'inchiesta del pm Francesco Rombaldoni perchè, prima di tutto, i dissuasori della velocità erano alti fino a 16 centimetri contri i sette previsti dal codice della strada. La procura accusava, poi, i tre funzionari di aver sistemato il dosso in prossimità di una curva non adeguatamente segnalata. Sempre per gli inquirenti, quel dosso costituiva un'insidia in quanto dipinta a strisce orizzontali gialle parallele alla direzione di marcia, simili ad un attraversamento pedonale. Con il dissuasore così sistemato, recita ancora il capo d'imputazione, si poteva trarre in inganno chi guidava.


Prima dell'udienza, ci sono state le repliche del pm Francesco Rombaldoni e di tutti gli avvocati. Ha provato fino all'ultimo il difensore di Bortolan, Claudio Avesani a togliere le castagne dal fuoco del suo assistito. La replica del legale si è incentrata sul nesso tra la presenza del dosso e la morte dei due centauri.
«Manca la spiegazione scientifica e statistica», ha detto il legale, «perchè i due sono morti durante l'attraversamento dell'area rialzata. Non è stato definito se gli eventi (i decessi dei giovani ndr) sono stati determinati dal piano rialzato». I difensori hanno già annunciato il ricorso in appello.

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